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martedì 17 agosto 2010

UN BIANCHINO

Post n°13 pubblicato il 01 Agosto 2010 da paulget
Foto di paulget

Eh..vedi caro mio..è come camminare su un filo, bisogna fare gli equilibristi. E non tutti lo sono..

Quante volte ho sentito questa frase? Non saprei quantificare. Se poi ci metto anche la sua variante del “camminare sul filo di un rasoio”..che poi non ho mai capito..Vorrei conoscere qualcuno che lo ha fatto o ci ha provato. A camminare sul filo di un rasoio dico..


A quell’epoca nel Mondo di Sotto non era come oggi.

Si “respirava” una vita diversa, una vita scandita da mestieri, giochi, vite e anche morti diverse.
La superficie non si vedeva ancora come oggi. No..il cielo..sì, ci stava già un bel cielo. Un bel sole a volte. L’aria era anche più limpida forse, o di sicuro, ma sopra dico..sopra.
Quello che sta sopra il cielo..oltre. Sopra la superficie intendo! Ecco, avete capito. Sopra la superficie increspata del mare, confine naturale, dicono, col mondo di sopra..Eh! appunto..sopra il nostro cielo.
Non so se era perché tutti guardavano in basso, se nessuno mai avesse alzato gli occhi in modo diverso o semplicemente perché ci stava quella barriera oltre la quale i nostri sensi non arrivavano, un po’ come quando immerso nel mare con la tua bella maschera da sub, guardi gli scogli e il fondale verso terra e vedi la fine, che poi è l’inizio della spiaggia, ma se per caso, per un attimo, dai le spalle a tutto questo e guardi verso il largo che si apre su uno strapiombo e vedi il trasparente dell’acqua farsi azzurrino, poi blu, poi più scuro ancora e ad un certo punto la tua vista si blocca e si confonde in un tutto che ti fa quasi ingarbugliare gli occhi fino quasi a sentirli che si girano, roteano e devi distogliere lo sguardo su qualcosa di fisso, su qualcosa fisicamente caratterizzante, peculiare del nostro senso ottico . Qualcosa di “reale”..di reale..

Non so se Carlo avesse mai visto la superficie o se, come potrebbe sembrare a me oggi mentre ricordo, ci avesse fatto pure una capatina oltre quella superficie. Una puntata discreta, per usare un termine che lui stesso avrebbe poi usato con me.
Perché ai miei occhi di sedicenne Carlo era quello che gli altri dicevano che fosse. Un folle.
Un matto.
E noi, già nel nostro periodo di tempeste ormonali costrette dentro le “docevita” sintetiche di colori inconfessabili, che a ogni piccolo spiraglio fra le trame emanavano dolci effluvi che riempivano le classi affollate, lo vedevamo così. Un matto.
I nostri quattordici anni in cui, fedeli ad un copione già scritto per noi, chiamavamo Carlo “lo scoppiato”, senza saperne bene il motivo e, normalmente, senza chiedercelo.
Ma poi, quando gli scompensi cominciarono a prendere una direzione precisa, quando il nostro “noi” cominciò chi più chi meno ad essere “o carne” “o pesce” distanziandosi sempre di più da quel periodo in cui, ogni discorso a riguardo veniva liquidato con un “si sa..A quell’età non sei ne carne ne pesce”! Già, si sa..
Ma con quello che non si sa come la mettiamo?!

E questo mio desiderio di sapere mi portò per caso, se mai esistesse il caso anche all’epoca, ad avvicinarmi al mondo di Carlo “lo scoppiato”.
Dapprima da lontano. Da oltre il recinto diciamo. Da una bibita o un gelato preso nel bar del paese sedendomi al tavolino e guardando con occhio affamato quell’uomo tanto evitato quanto sconosciuto che si gustava il suo bel bianchino.
 Un cantautore che aveva visitato spesso il Mondo di Sotto, anni dopo avrebbe scritto una canzone definendo quei bianchini un “anonimo vino frizzante anidride” ed ogni volta che ascolto quella canzone non posso fare a meno di ricordare quei giorni.

Ma appena incrociavo con il mio sguardo il suo e i suoi occhi mi si piantavano dentro bloccandosi su di me come una telecamera che passa in rassegna un luogo e all’improvviso si blocca su un particolare e lo mette a fuoco, così io in quel momento vedevo il blu scuro del mare, che mi faceva subito per istinto guardare da un'altra parte alla ricerca di un punto fisso e ben definito dove trovare il mio equilibrio. Neanche fossi salito su di una fune sospesa a venti metri da terra.
Non ricordo in modo chiaro quando feci il primo passo. Ho provato ad aprire i cassetti più o meno pieni, più o meno impolverati della memoria, ho cercato fra tutte le cose che trovavo, ho trovato cose che non ricordavo neanche di aver messo  da parte in quel cassetto, ho rischiato di perdermi in altri pezzi della mia vita ma niente da fare.
Quel momento non l’ho trovato.

Però qualcosa ho trovato. Ho trovato l’attimo successivo, il fotogramma dopo, quello subito dopo ..l’attimo in cui io, armato dei miei sedici anni con barbetta d’ordinanza, entrai nel bar e con una normalità consumata dal tempo passato a studiare gli altri dissi..

“Un bianchino grazie!”

E in un momento tutti i gelati del freezer si squagliarono e formando un fiume vorticoso, melenso e di indescrivibile colore, andarono a sfociare nel mare dei miei ricordi insieme alle caramelle che rubavo dalla lattaia. All’epoca nella Terra di Sotto ci stavano le latterie. Anche oggi nella Terra di Sotto qualcuna ci sta ancora mi dicono. Ma quelle …

Il momento in cui mi trovai al banco davanti a quel bianchino lo ricordo molto bene. Oh  no! Non c’è  bisogno di aprire cassetti polverosi..
Ero un uomo eh! Vuoi mettere?
Hai mai provato a sedici anni a dire “mi da un arcobaleno” (ghiacciolo multi gusti  più o meno definiti  nella Terra di Sotto dell’epoca)  e dire invece “un bianchino grazie !” ??
Nononono!! Non ci sta proprio un paragone.. forse la prima volta che si fa sesso..ecco, forse..

Poco importa, come ci si sente o mi sentivo. Una cosa però è certa. Avevo messo piede sulla piattaforma dove iniziava la fune che, tirata, arrivava dall’altra parte sospesa nel vuoto.

E lui fu con me quasi subito.
Ecco, questo me lo fa ricordare spesso.
I fatto che già alla terza o quarta volta che ripetevo il rito con la frase magica ed ero già passato di "livello", seduto al tavolo a guardare gli altri giocare a carte, Carlo, seduto sulla “sua” sedia , perché lui aveva una sua sedia dedicata , si, ma non per un gesto di rispetto o cosa, ma perché non si sedesse al tavolo con le persone “normali”, vestite normali, pulite normali, sbarbate normali, non come lui, e lui da quella sedia mentre si rollava la sua sigaretta mi fece..
“Ti piace il bianchino?”
Beccato!!

No che non mi piaceva dio mio! Era aspro, legnoso, ti dava i brividi quando lo buttavi giù!!
Forse la pausa che feci prima di mentire spudoratamente e dire “Si! Buono..” forse perché lui era meno pazzo di quello che dicevano, fatto sta che mi guardò fisso, e per la prima volta riuscii a mettere a fuoco quel vortice…
Con un tono neutro che più neutro non si può disse“ fa schifo”.  E un attimo dopo mi ritrovai a chiedergli : “perché lo beve allora?”
“Per farli contenti! Perché mai! E perché costa poco e io un po’ di vino buono lo prendo da un amico che me lo regala e lo bevo in santa pace a casa da solo, quando vengo qui son tutti così felici di vedermi , di vedere il nano, la donna cannone, il funambolo, che non posso non farli contenti.”

E mi spiegò.

E io capii.
Capii che gli altri ti guardano quando sei diverso, quando ti comporti in maniera diversa, quando ti comporti in maniera più libera di loro, quando non percorri le tappe a tutti destinate con la loro stessa obbedienza, ti guardano contenti per vederti cadere! Perché diventano cattivi quando gli fai capire che quella che hanno loro non è libertà.
Allora devi  fare il nano, la donna cannone, il funambolo anche…ma mai, e dico mai, fargli vedere che ci riesci.
Perché il giorno che tu cammini sulla tua fune da bravo funambolo senza paura, in modo facile, e con leggerezza arrivi dall’altra parte e riprendi il percorso di nuovo, stai tranquillo che loro con un bel coltello, una bella forbice, quella fune te la tagliano e ti fanno cadere.

"Ma.. scusa", gli dissi, "se vivendo come fai devi vivere così sempre alla berlina degli altri sempre senza che gli altri ti diano un po’ di soddisfazione, perché non vivi come loro?? Sarebbe più facile!"
"E più tranquillo anche. Se fai come loro  non occorrerebbe più preoccuparsi sempre di non cadere da quella fune!"

Lui mi guardò..e con un sorriso non so quanto di gioia o più di soddisfazione mi disse :

“Son mica matto io !”


Gli anni son passati in fretta, e io con il ricordo di Carlo il Matto ho vagato per altri posti della Terra di Sotto, a volte un occhiata Sopra, camminando più o meno bene su un filo che in un certo modo ho cercato di abbassare più possibile a terra.
Perché ho capito che la paura non sta in quella striscia bianca che si srotola davanti a te, che poi non è diversa di un colpo di gesso a terra.
Se tu devi seguire una linea tracciata a terra non fai fatica a rimanere in equilibrio, ma se quella linea, quella striscia di gesso, ipoteticamente la sollevi un po’ da terra.. sempre di più , tutto diventa difficile.
Ma la striscia non cambia, la fune non cambia, quello che cambia è quello che vediamo sotto. Quello che cambia sono i punti di riferimento che non troviamo, che cerchiamo per fermare quel roteare della vista che ci fa cercare per istinto un punto fisso per poter fermare questo movimento innaturale per i nostri sensi fisici..
Forse un “altro” senso ci darebbe modo di non cercare più questo punto fisso e ci permetterebbe di mettere a fuoco l’infinito.
E di camminare sulla fune con una pace e tranquillità come su una riga tirata sull’asfalto.


Mi son trovato dopo tanto tempo in quel vecchio bar.
Gestito oramai dai figli del vecchio proprietario.
Seduto nei nuovi tavolini alla moda e gustando un buon Franciacorta, di moda nella Terra di Sotto in quel momento, ho avuto nostalgia per quel gusto aspro, legnoso, che metteva i brividi, del bianchino di sedicenne memoria. All’improvviso tutti cominciarono ad uscire, a salutare, e a poco a poco il bar si svuotò, lasciandomi solo  con un paio di clienti che, insieme al gestore, stavano per accendere la tv.
“Alla sera sempre calma vedo tutti a cena? Chiedo al proprietario.”

“No!” Mi fa ..”è che oggi.. non ha sentito? Ci sta quell’uomo che parla alla tv.”
“Su tutte le reti ci sarà.” mi fa l’altro cliente “Quello che è su nel mondo di sopra e che, dicono, viene dal mondo di sotto e con fatica piano piano, ha superato la superficie del mare e ora che sta li e lo hanno accettato vuole fare qualcosa per il suo vecchio mondo di sotto.”
“Ma ..perché.. Tu non vai ad ascoltarlo???"

E’ stato un attimo, a cambiarmi il moto di rabbia che mi saliva da dentro e stava per sfociare in qualche epiteto più o meno santo. E’ stato un attimo davvero. Un qualcosa da lontano..un qualcuno da lontano..
Un attimo, un ricordo..allora con un sorriso più che di gioia o scherno, di soddisfazione che, guardandolo negli occhi dissi..:

“Son mica matto io !”

E uscii, per raggiungere casa mia, dove con gesto solenne tirai fuori una bottiglia di vetro dall’etichetta strappata che illustrava un tempo quello che ora non conteneva più.
Mi sedetti davanti al tramonto, sui gradini di casa  e con il cuore colmo di gioia in equilibrio su una fune, sopra un mondo intero centellinai un bianchino “da asporto.” Aspro, legnoso, ma dolce come il miele ai miei sensi ritrovati.

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