Licenza Creative Commons
OCEANO TERRA by Racconti della terra sotto il mare is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.
Based on a work at andreaparovel.blogspot.com.

giovedì 2 settembre 2010

Uno, il Tutto. (terza parte)

Post n°27 pubblicato il 25 Agosto 2010 da paulget
I cavalieri erranti son trascinati al nord..
                                                   (P.Gori)







Mentre la corrente lo trascinava a fondo,  poteva vedere  la scarpata delinearsi in tutta la sua maestosità facendo diventare il relitto sempre più piccolo, poi anche quella vista svanì e fu circondato dal fosco delle tenebre marine.
In un attimo capì.
Fra poco sarebbe finito tutto. Un lampo, squarciò la mente, facendo riaffiorare gli scritti sulla morte per annegamento che aveva letto e alle sensazioni che gli davano, quando cercava di concepire con la fantasia il momento in cui il riflesso incondizionato della massa di cellule affamate del corpo portava ad aprire la bocca e a inspirare l’acqua alla ricerca spasmodica di ossigeno che non avrebbe mai trovato.
Ora lo stava per toccare con mano.
Il bisogno di aria si fece sempre più impellente, lottava per non cedere all’impulso animale che lo sovrastava e per un attimo pensò se non fosse il caso di farlo prima possibile per porre a termine una sofferenza inutile.
Stava scendendo sempre più in fondo in una tenebra fredda che ormai non sentiva più, si lasciò andare, rilasso i muscoli, e un attimo dopo la sua bocca si aprì. Un bruciore intenso pervase il suo petto, la testa sembrava compressa in una morsa sempre più stretta, poi fu il buio.

Stava salendo, salendo, sempre più in alto stranamente, una luce lontana brillò sopra di lui, venne preso in un vortice luminoso che lo trascinava sempre più su.
Ebbe la sensazione che il viaggio, più che dentro lo spazio, avvenisse attraverso il tempo e che si rivolgesse all’indietro mentre continuava a salire e a ridiscendere, salire e ridiscendere e in quel momento capì che il percorso che stava facendo era come un respiro, tra pieni e vuoti, tra luce e buio, tra alto e basso, tra paura e speranza.. la luce andava e veniva, andava e veniva..poi, di colpo, venne risucchiato verso l’alto.

L’essere lo stava guardando con due occhi curiosi e lievemente ironici che si posavano su di lui come se guardassero un povero gattino spaventato.
Sembravano un uomo come lui, fatto come lui.
Tuttavia, l’Essere, non sembrava pensasse la stessa cosa di lui.
Infatti, lo guardava con un’aria fra il curioso e lo spaventato.
Riuscì a mettere a fuoco la sua coscienza, la mente si rimise in funzione, i sensi lentamente ripresero forma e sostanza e lo sentì bisbigliare qualcosa, un qualcosa di sempre più forte, finche il bisbiglio diventò parola.
“ Tutto bene?”
 Vide l’uomo guardare verso i suoi piedi.
Spostò lo sguardo anche lui..
In un attimo fu desto e capì. Stava studiando con attenzione la sua muta, la sua maschera e le sue pinne.
Provò a muovere un piede, che fece guizzare con un balzo e retrocedere di un po’ di metri  l’uomo. Mosse un braccio, senza problemi, quindi, puntando le mani a terra..a terra?!..
Era terra, più precisamente sabbia, sabbia normale, una semplice sabbia color nocciola.
Che cosa stava succedendo, o meglio, cosa era successo. E cosa stava accadendo ora.
Con le mani che sprofondavano morbidamente nella sabbia tiepida, si mise seduto.
Si tolse la maschera e si trovo circondato da....mare.. ma cosa diavolo..il vento, un alito di vento si posò sul suo viso, e tutt’intorno alberi cielo, orizzonte, uccelli, rumori, odori.
Per un attimo si vide, seduto con la muta, e con le due pinne che salivano dai piedi e una sensazione ironica lo pervase.
L’uomo che non smetteva di scrutare da dietro il muro di sconcerto e timore che, tuttora esistente, lentamente stava svanendo, si riavvicinò.
I due si guardarono dopo lo smarrimento iniziale. Poi, l’uomo in piedi disse: “Chi sei?”-con il tono di un “Cosa sei?”.
Si alzò lentamente, sfilò goffamente le pinne rischiando di cadere e, mentre sfilava la parte superiore della tuta, sentì un calore delizioso sulla pelle, alzò gli occhi al cielo e vide che era chiaro ma di un colore strano, lattiginoso, il sole non splendeva come il solito, a dire il vero non si vedeva neppure, ma una luce calda sembrava pervadere il cielo in modo uniforme.
Eppure non si vedevano nubi, ma neanche il cielo sereno, solo un colore opalescente e omogeneo fino all’orizzonte. Mentre sfilava anche il resto della muta, gli riaffiorarono alla mente i ricordi, confusi, la corrente, il relitto, la sensazione di paura. Poi quel turbine che invece di portarlo ancora più in basso negli abissi lo aveva scaraventato di nuovo sulla spiaggia. Già, ma su quale spiaggia.
in superficie, sei stato spinto da una corrente fino sul fondo come mai sei in superficie di nuovo?
dal fondo del mare si sale in superficie…non dalla superficie…
I pensieri si dilatavano come una catena, un anello legato all’altro, una cartella dopo l’altra , in una sorta di intersezioni d’insieme raggiunsero un punto, una barriera, una gabbia da dove non potevano fuggire e tornavano a contrarsi, per tornare all’origine, ed espandersi di nuovo fino ad incontrare ancora quel muro invalicabile. Il suo fisico rispose immediatamente, non gli riusciva di portare a termine il respiro, un senso di intorpidimento gli agguantò le braccia, il senso di confusione in testa  montava sempre più portandolo sull’orlo dello svenimento per poi afferrarlo sul precipizio e  ricominciare daccapo. Poi, il cervello trasmise i suoi segnali ai blocchi di sicurezza che si attivarono immediatamente. E fu nuovamente il buio.

Arrivato in cima al ripido pendio di sabbia, l’uomo con in spalla un corpo inanimato e nell’altra degli strambi vestiti  si trovò davanti ad un carro colmo di attrezzi vari, appoggiò a terra la strana zavorra che lo appesantiva facendo sprofondare i suoi stivali nella sabbia, gettò a terra la muta, si guardò in giro. Un silenzio fatto di uccelli, grilli e vento leggero, faceva da corona allo sterminato mare di fuscelli alti fino a un paio metri che, come ogni estate inoltrata, stava per fiorire, lo tranquillizzò.
Prese una pala e si mise a scavare.

Appena la piccola fossa nel terreno, reso morbido grazie all’acqua arrivata dalla terra la notte seguente, fu abbastanza fonda, si chinò, prese i vestiti dell’uomo e, guardandoli ancora per un attimo li getto nella buca e ricoprì tutto in velocità. Controllò che il ragazzo portato dal mare respirasse ancora, lo mise sul carro fra bastoni, falci, e sacchi vuoti, lo coprì con un lenzuolo di canapa che usava, a seconda dei momenti, come letto disteso sull’erba o tovaglia per le pause del pranzo, salì sul carro, e, afferrate le redini del giovane cavallo si avviò lungo la strada di acciottolato bianco che costeggiava le piantagioni di canapa.


A volte quando ci si trova in difficoltà, al massimo della delusione, quando il pozzo in cui sei caduto sembra non proseguire più verso il fondo, e finalmente senti la terra compatta sotto i piedi, allora, proprio in quel preciso istante, come per una sorta di alchimia la paura, la delusione, si trasforma in fiducia. E ci si affida a tutto e a tutti.
Quanto questo sia utile o dannoso non è dato mai di saperlo in anticipo.
Ed è seguendo questa sensazione di fiducia, questa percezione, che lui, riaperti gli occhi, rimase in silenzio sotto quella specie di lenzuolo che lo copriva, ascoltando l’uomo fischiare sobbalzando fra tintinnii di ferri, pale e altri attrezzi sulla strada dell’ignoto.

Uno, il Tutto. (quarta parte)


Stava ritto in piedi alla finestra dal vecchio telaio, quadrati di mare turchese increspato di vento, repentine raffiche arrivavano imponenti a incontrare il mare verde di foglie chiazzate di giallo, in una strana danza del caos, sbattute, contese da refoli distinti ma figli della stessa forza, folate di sale sul cortile e sulla fontana di acqua tremula portano odori forti di  fieno e fichi e terra umida, più forte l’odore di zenzero, della donna  lasciata  sotto le lenzuola.
Contrasti di pensieri confusi da sogni sempre più penetranti, vividi di sensazioni riaffioranti in quei momenti sempre più lunghi, davanti a quel dipinto di canapa al vento. Stava lì. Una volta di più il ricordo lontano, confuso, della spiaggia e di quell’incontro col nuovo suo mondo, quello del dopo, della mente nuova, lavagna priva del gesso del passato, foglio nuovo da scrivere. E ci scriveva da un po’. Fiorivano gli alti fusti di fine estate quando il nuovo ordine di cose fluì nella sua casta memoria e ora un nuovo mare di gialli fiori di sativa, si donava al vento del sud.
 “Esci già?”
Il fruscio di lenzuola placò i suoi pensieri, la voce della ragazza lo riportò al presente.
Si passò la mano sul volto ispido a cancellare i pensieri e i profumi del vento scomparvero scacciati dal dolce e speziato profumo.
“Resta pure a letto, ricordati di prendere i rotoli prima di uscire” le disse.
Lei si alzò sui gomiti fra scrocchi secchi del giaciglio con lo sguardo assonnato e sorpreso. “Sono già pronti? E quando li hai scritti?”
Lui si girò avviandosi verso la porta della stanza i cui stipiti a malapena contenevano le spalle enormi, prendendo la bocca ruvida fra la mano a sentire una volta in più quell’inebriante profumo. “Ho sognato i cavalli.”  E senza aggiungere altro uscì.
L’aria già tiepida della mattina si insinuava fra i suoi vestiti mentre il gatto, di ritorno dalle scorrerie notturne si strusciava sui suoi stivali prima di saltare sul davanzale e raggiungere la scodella già colma Il rumore del mare arrivò improvviso da dietro la collina di rovi chiazzati di grosse more, il suo pensiero era più pesante quella mattina, mentre si avviava per il sentiero rubato al bosco di pini che costeggiava  la ripida discesa verso l’azzurro in subbuglio.
La casa come sempre gli venne incontro all’improvviso, l’amplesso del glicine al muro opposto al mare, fuori, già indaffarato intorno al suo carro di utensili  vari, stava Murdo,  braccia vigorose spostavano, alzavano, caricavano tirando corde a bloccare il tutto, vicino a lui il figlio Caolan con la mula da tiro come sempre pronta con il carico di fusti di canapa destinati alla teleria,  Glenda, come sempre d’intorno al pollaio.
Sogni scomposti, vivi, come ogni giorno avevano lasciato il posto alla realtà. Quale filo sottile divide i due mondi..

Tutto come ogni giorno, nessuna nota stonata  in una composizione certa, affermata. Conseguente il gesto di mano, mentre lampi di sogni spazzarono la realtà fermandosi, fugace momento, sparendo, oscurati da razionalità padrona di quel pezzo di tempo. Consueto momento di mille risvegli.

Passati i cespugli di ginestra la sabbia cedeva al calare degli stivali , sempre più in fondo, sempre più secca sulla strada del vento, per divenire umida di marea un passo più avanti.
Si fermò così, con la faccia al vento a scrutare il mare, cercando il ricordo, trovando il presente.
Vecchio libro in nuove mani, dove leggere le storie, sensazioni, impressioni di oggi. Cercava, a dire bene, con poco coraggio, come un libro già letto, paura di riaprirlo per non confondere le sensazioni di allora con quelle di oggi.

Dopo i primi giorni smarriti, la fermezza di Murdo lo aveva fatto nascere a nuova vita, ordinando quel vuoto caos ormai lancinante,
 riaffiorato dai flutti del nulla pronto a scrivere il “futuro” passato.
Tempo ne era passato da quel carro ciondolante di pale, di falci, di zappe con cui era giunto alla casa sul mare.
Una nuova fioritura di canapa, ma il senso in lui, di quel periodo passato sembrava lunghissimo..lunghissimo..? Lampo improvviso falce di luce a troncare i pensieri..
Sembrava lunghissimo..con tutta la forza che trovò cercò di aggrapparsi a quel pensiero sempre più flebile sempre più insensato..Lunghissimo rispetto a cosa
Immagini, lampi. Alberi dai rami tagliati. Un vecchio fra le sue braccia ansimante alzato su un fianco. I suoi muscoli indolenziti. Letti affiancati. Uno spazio fra i letti sporco e polveroso. Semi tostati passati nello zucchero colorato di rosso dentro un disegno a mosaico.
Una rosa…
E il suo nome gridato,  di nuovo il vento del presente il profumo del mare, il rumore dei pensieri sempre più lontano come un treno passato troppo in fretta per poterci salire. Una volta di più.

Si sentì chiamare di nuovo.
Con passo spedito rifece la strada verso la sabbia più secca, passo oltre i cespugli incrociando il carro stracolmo di attrezzi con l’amico in attesa, una volta di più.

(continua)

Uno, il Tutto. (prima parte)

Uno, il Tutto. (prima parte)

Post n°29 pubblicato il 25 Agosto 2010 da paulget
Come abbiamo visto, il fondo dell’oceano sembra proprio un vero e proprio “altro mondo” sotto il mare,
con scarpate, montagne, vallate, catene montuose intere e pianure sconfinate.
Dopo la piattaforma continentale troviamo la scarpata o pendio. La piana abissale è quella parte della provincia oceanica che si origina ai piedi della scarpata continentale, quindi, termina con le depressioni del fondale da dove partono le fosse abissali che possono raggiungere profondità di migliaia di metri  ma  questo sarà il tema che affronteremo nella giornata di domani.
Per oggi, se siete d’accordo, ci salutiamo qui.
Vi auguro una buona serata.”



“Accidenti!”
L’uomo si alzò dalla sedia dimenticando, come il solito, di alzare la tavoletta reclinabile inserita nel bracciolo destro e una pioggia di fogli, penne e graffette andarono a coprire il pavimento di linoleum ai suoi piedi e sopra i piedi della vicina di posto.
“Scusami” -disse timidamente mentre piegato su un ginocchio raccoglieva il materiale- è già la seconda volta oggi.
La donna, lo guardò per un attimo,  poi scoppiò in una risata che sollevò un sipario di labbra rosse cangianti su un sorriso radioso, quasi discordante dal volto cereo che lo circondava.
“Capita anche a me non ti preoccupare” gli disse, chinandosi anche lei a raccogliere dei fogli planati sul pavimento fino alla fila davanti a loro.
L’uomo si alzò in piedi spolverandosi i pantaloni al ginocchio. “Sai – disse incamminandosi lentamente verso la hall del vecchio albergo- come ti dicevo a pranzo, rimango incantato davanti a quelle proiezioni nell’oscurità e dalle descrizioni dei relatori, tanto da dimenticare dove io sia..
“Succede anche a me” rispose la ragazza meditabonda “immagina per un momento di poter asciugare il mare. Che mondo scopriremmo lì sotto! Tutte quelle gole, strapiombi, montagne vere e proprie.  Ehi! Mi stai ascoltando?” disse al suo collega di studi.
“Sì, sì, scusami -rispose il giovane premendo il tasto dell’ascensore- il fatto è che sono stanchissimo e mi bruciano gli occhi, sarà per il viaggio, ma mi stavo perdendo di nuovo ascoltando quello che mi stavi descrivendo.”
“Non ti fermi un po’ con noi al bar stasera?” disse lei mentre il segnale di ascensore al piano suonava.
“No, vado nella mia stanza- rispose il giovane, strofinandosi gli occhi ed entrando nell’angusta cabina- sono distrutto e devo fare anche un paio di telefonate prima di dormire.”
“ Comunque domani sera non mancherò! Promesso.” E la salutò con una smorfia che doveva essere un sorriso e con un cenno della mano che avrebbe dovuto essere un saluto. Lei lo guardò -
sempre stato un tipo strano- Va bene! – gli rispose- allora riposati che ne hai bisogno vedo. A domani.


La stanza era una solita stanza di un solito hotel che, dopo un illustre carriera, era stato acquistato da una società ed adibito a congressi, vedendo perciò un ultimo restauro decente probabilmente prima che lui venisse al mondo..o poco dopo.
Come le navi da crociera  nella grande guerra che, dopo gli sfarzi delle rotte  atlantiche, venivano  usate come navi ospedale, per poi in seguito, cessate le ostilità, essere demolite.
Un hotel, con la scritta “Gran” davanti,  persa nel corso di quegli anni di gruppi più o meno numerosi, di società più o meno oneste, e con ospiti più o meno facoltosi.
Gettò la cartellina con i fogli di appunti, sul letto, sedette sulla sponda dello stesso e si distese – solo due minuti in modo da raddrizzare la schiena e riordinare le idee- chiuse gli occhi e immagini di fondali, sezioni di catene montuose oceaniche si accavallarono fino a mescolarsi con immagini meno  nitide, fogli per terra, un viso di donna, labbra di cocciniglia. Poi tutto il mondo intorno a lui scomparve e quel gran custode della mente e del corpo che è il sonno prese il sopravvento.

PROLOGO



“Difficile spiegare il sole a chi non l’ha mai visto”
                                                                     A.P.







Si trovava immerso sopra il fondale corallifero, non troppo profondo, in alto, si poteva vedere bene lo splendere del sole che penetrava caldo e il luccichio argenteo della superficie.
Si lasciò andare fermo sul fondale e trattenne per un po’ il respiro di modo che il rumore dell’erogatore non impedisse ai suoni del mare di arrivare ai suoi sensi, i ticchettii incessanti e quei fruscii simili a bisbigli.
La leggera corrente del reef lo cullava facendogli dimenticare tempo e spazio, magia posatasi su di lui con la leggerezza del polline.
Si girò all’improvviso, appena in tempo per vedere la fine imminente del banco di corallo, varco nell’oscurità del precipizio, regno incontrastato di pesci e misteri, nonché di correnti con il loro repentino mutare foriero di sventure, a volte, infauste.
Osservò l’infinito apparente, fino a sentire di nuovo, con consapevolezza ritrovata, il gorgogliare rumoroso delle bolle, segnale di riacquisita concentrazione.
Guardò la fune di discesa, vi si aggrappò e si immerse nel vuoto.

La cima, agganciata al pennone di poppa della nave, si perde nel blu, sembrando sempre più sottile.
Scendendo si arriva al relitto, adagiato da una cinquantina d’anni sulla ripida scarpata.
Blocchi ricchi di coralli molli scivolano intorno mentre, impreviste, tre torri di corallo si stagliano di fronte. E, all’improvviso, eccola lì, apparentemente priva di colore, nell’azzurro mistificatore del mare.
È il momento di accendere la lampada.
Come una dura crosta di pane squarciata a rivelare il candido e profumato interno, il raggio freddo dei led rivelò incrostazioni multicolore, spirografi marrone, gialli, banchi di pesce colorati apparvero all’improvviso, come se il tocco di quel gommoso pulsante avesse messo in moto una giostra ricca di colori e di forme.



Arrivò all’improvviso.
Impetuosa.
All’improvviso si sentì parte di quel carosello e non più spettatore e le immagini mutarono.
Una corrente forte e fredda lo gettò contro la poppa, lasciò cadere la torcia e si aggrappò con due mani e tutta l’anima ad una delle ringhiere incrostate del relitto, troppo abituata oramai a quel mondo incastonato e lieve di cui faceva parte ormai da tempo, per reggere la disperata presa.
Il lavoro, cominciato parecchi lustri prima dalla salsedine, ora si completò.
Scivolò sul ponte della nave vedendo la prua  avvicinarsi sempre di più, fino all’ultimo, fatale, urto.  La bombola che indossava rimase impigliata mentre lui sentiva un’ultima e prepotente forza che lo gettò in balìa di quel fiume  impetuoso verso l’oscurità

 
 
 

Uno, il Tutto. (seconda parte)

Post n°28 pubblicato il 25 Agosto 2010 da paulget
Il sovrano era inquieto.
Nel giardino del palazzo d’estate, camminava con aria assorta, fra gli alberi da frutto e i rovi macchiati di giovani more, senza coglierne la presenza.
Fosse stato nel mezzo di una strada trafficata, fra carri, cavalli e persone, non sarebbe stata diversa la nostra visione.
Cercava in qualche modo di decifrare quel qualcosa, simile a una sensazione, quasi un’impressione nata in lui al risveglio e decisa per il momento a rendere travagliata quella lunga giornata d’impegni che lo aspettava.
La riunione con la confraternita della Démologia era andata secondo i piani, eppure il fastidio, continuava nello stesso modo in cui era cominciato, parecchie ore prima, all’alba di una notte pressoché insonne.
Certo, tutto motivato.
Appena sceso dal letto però... Ora, dopo la risoluzione dell’ennesimo problema  non aveva motivo di esistere.
Tutto era andato come doveva andare e, una volta di più, l’istituzione di quel dicastero si era rivelata azzeccata. Il creare la confraternita della Démologia era stata una delle idee più brillanti avute in passato appena conquistato il potere.
Creare un’istituzione che si occupasse della composizione e costituzione sociale era una delle “ispirazioni” di cui andava maggiormente fiero.
Doveva esserci un controllo, una guida che sovrintendesse e mantenesse in equilibrio gli umori del regno.
Certo, un tempo, non avrebbe mai pensato di dover considerare che un regno fosse composto anche di persone. Ma, come l’arte del compromesso appresa nel suo passato di mercante gli insegnava, bisognava adeguarsi a volte, pur non comprendendo a fondo le cose o non accettandole proprio, di modo che i frutti arrivassero più copiosi e andassero a coprire anche quel piccolo costo che si era dovuto pagare mutando idea controvoglia.
Imperativo era che i sudditi versassero nelle casse del Palazzo, quello che per dovere naturale dovevano corrispondere.
E, logicamente, dovevano essere convinti che fosse un dovere naturale. Farlo sentire un obbligo morale ci aveva pensato l’ingegnoso meccanismo dei suoi predecessori, ma, purtroppo non avendo fatto il passo successivo, era stato perso il controllo della società, il controllo della composizione equilibrata della stessa e, chi più chi meno, era finito in disgrazia, a volte in tragedia.
Ma con la Confraternita della Démologia e la sua rete capillare di circoli in tutto il territorio, l’ordine sarebbe stato mantenuto senza intoppo per molto tempo.
Oh, sì, bisognava lavorarci sempre, con costanza e impegno, qualcosa o qualcuno, chi con uno scritto più audace, chi con una rappresentazione artistica,  rischiava di rompere quel perfetto equilibrio ma, come successo quella mattina, le cose si risolvevano nel migliore dei modi.
I giullari erano importanti, purché fossero giullari di corte. Finché la gente si divertiva e apprezzava, lui lasciava fare. Quando, però, qualcuno diventava pericoloso per il sistema e invece di far solo ridere instradasse le persone su un territorio sbagliato, magari le spingesse a sorridere e non più a ridere, allora bisognava intervenire. In modo assoluto e categorico, come lui sapeva fare benissimo. Un lavoraccio, certo ma, circondato da fedeli e capaci servitori com’era non gli risultava difficile e poi, con il lavoro duro e costante i frutti arrivano sempre, come ripeteva spesso a tutti.
Lui sapeva di cosa la gente aveva bisogno e glielo aveva sempre dato. Era il Re più lungimirante della storia recente e a volte, avrebbe voluto dire di tutta la storia.


“Sire!”
Lo ricondusse alla realtà il suo fedele servitore Alladine.
“Sire, eravamo preoccupati, non la vedevamo ritornare”.
Portava in mano una risma di fogli di canapa con le notizie arrivate come ogni mattina al castello, recapitate con devota solerzia dall'attività dei messi, i quali, ognuno nella zona assegnata, raccoglievano notizie, informazioni, piccoli stampati che i popolani amavano leggere e, proprio per questo, finanziati dalla confraternita dedicata a quell’attività.
Confraternita, appunto, presso la quale doveva recarsi in questo momento.

La confraternita della Tautologia, era molto più difficile da gestire, perché le scelte dovevano essere fatte celermente, in modo da dare la possibilità ai messi pomeridiani di portare nelle zone a loro dedicate gli scritti deliberati, in tempo per la scrittura dei fogli del giorno seguente.
Un meccanismo ben curato, da mantenere in costante attività.
Il mattino era dedicato ai fogli, nel pomeriggio osservatori specializzati, si occupavano dei libri che selezionavano con cura, analizzavano e catalogavano in sezioni apposite, una per ogni tipo di opera,
in modo da creare una perfetta statistica da passare poi ai fratelli della Démologia i quali, decidevano la mattina seguente, se fosse o no il caso di distribuire un nuovo libro o raccolta e di che tipo eventualmente dovesse essere.  Tutto questo grazie alle percentuali di classificazione fornite dai fratelli della Tautologia, considerati molto importanti proprio per questo motivo.
Il servizio, cui era preposta la Confraternita della Démologia era quello di mantenere l’equilibrio nelle opinioni e , come si può ben comprendere, questo scopo veniva ben raggiunto o , per usare un termine più appropriato, mantenuto, anche con la pubblicazione di libri. Non era importante ai fini dello scopo se fossero a favore o contro il regnante, dedicati a una o più categorie sociali, infatti, il meccanismo era basato sulla condizione di equilibrio che si doveva mantenere, per garantire una vita tranquilla nelle valli del Regno. E garantire una vita tranquilla all’imperatore insieme con tutto quello che intorno ruotava, fossero confraternite, scrivani o semplici messi che ricevevano di che vivere dalle casse del Palazzo.
Che poi le casse fossero riempite anche con il loro contributo era una questione troppo complessa su cui farli ragionare e, appunto uno dei compiti che stava alla base dell’istituto Demologico,  era quello  di non lasciar uscire i ragionamenti da un certo livello di guardia, senza bisogno di violenza o repressioni come in un passato orrendo e incivile, ma con l’equilibrio fra critiche ed elogi, fra pro e contro, fra bianco e nero, fra uno e l’altro..
Aveva creato una macchina perfetta, di prosperità e di libertà.
Sì, in effetti, dire che lui fosse il miglior Re di tutta la storia non era poi sbagliato.
Schiere di scrittori al soldo della Congregazione della Tautologia, si affannavano ogni giorno a creare qualche nuova storia, un qualche nuovo libro, sulle indicazioni fornite dal dicastero della Dèmologia e, altrettanti, erano al soldo del Palazzo fino agli angoli più remoti del regno, altri ancora, venivano reclutati  per la causa.
Uno di questi era proprio Alladine, uomo tranquillo, facente parte in passato di una schiera culturale indipendente, avvicinato ai tempi da un emissario dell’imperatore sventolante una delle bandiere che preferiva di più, quella con i colori dei benefici, del  potere, della fama e della ricchezza.
Dopo essere stato tentato a lungo, il giorno dopo cedette alle avance del Palazzo e con lavoro oculato e instancabile era arrivato a essere vero e proprio servo prediletto e factotum.
Uomo non molto prestante fisicamente, sempre affascinato dal potere e dal benessere materiale, aveva usato l’arma che gli rimaneva, la sua intelligenza.
Alladine sapeva sempre che parole usare per calmare o, a volte, spronare il suo padrone secondo le situazioni che si presentavano. E non aveva mai fallito.
La sua abilità poi, a prendere pubblicamente le difese del capo quando questi glielo ordinava, la sua maestria nel non dar possibilità oggettive ad eventuali oppositori atte a  contestare una sua opinione tacciandolo magari, di servilismo, gli avevano permesso di essere al fianco dell’imperatore con tutte le comodità di vita derivanti per se e la sua famiglia.
Il suo tono sempre calmo e pacato, che  ricordava quello dei sommi sacerdoti del tempio di Baal, si inseriva bene in un volto dalle gote cascanti e due occhi ciondolanti, il tutto dominato da una calvizie oramai dimenticata tanto era il tempo passato da quando era apparsa.
“Mi sono fermato un po’ a meditare sulla riunione di questa mattina Alladine -disse il Re rivolgendosi al servo- e non mi sono reso conto dello scorrere del tempo, ma ecco che, puntuale, arrivi tu, mio fedele amico, preciso come sempre, per  riportarmi  ai miei doveri quotidiani”.
S’incamminarono insieme lungo il sentiero che conduceva alla veranda estiva, dove ad aspettarli c’erano due cavalli con la scorta, e, mentre il Re sfogliava le canape, Alladine lo informava sulle discussioni da affrontare quel giorno al palazzo della Tautologia.
“Serpeggia una sorta di malumore, ma dovuto a niente di particolare”, disse il servitore.
A quelle parole, il Re si rabbuiò di nuovo, aggrottando la fronte, mentre, bloccandosi e alzando lo sguardo dai fogli che teneva in mano, serrò con una leggera stretta al braccio, la camminata e le parole di Alladine guardandolo.
“Che tipo di malumore Alladine, spiegati meglio.”  Il servo lo guardo stupito.
“Come vi dicevo, Signore, niente di particolare, ma un aria un po’ tesa, visi dall’aspetto preoccupato. Anche gli stessi fratelli interrogati al riguardo non sapevano dar motivo di ciò, descrivendolo come una specie di sensazione, avuta già la mattina appena destati dai servitori.
Il Re, annuendo lentamente, riprese il cammino ripensando alla sensazione che aveva avuto anche lui durante la mattinata e che tanto lo aveva tormentato fra gli alberi del giardino.
La voce della moglie lo riportò al reale. “Marito mio. Stavamo in pena per voi”
La donna, gran dama che gli aveva dato molte soddisfazioni e figli, affrettò il passo verso di lui abbassando leggermente la testa per baciarlo sulla fronte.


Ora, per chiarezza della nostra storia, bisogna dare qualche breve spiegazione.
L’imperatore era di parecchi anni più vecchio della moglie, la stessa, non era neanche il suo primo matrimonio.
Infatti, in un periodo lontano, ai tempi del regno del suo predecessore e amico, mentre, giovane mercante,vagava per le contee, conobbe in una serata di relax fra amici una cameriera che gli sembrò subito un angelo. Una bellezza fresca, giovane e angelica, per niente volgare, insomma, per farla breve s’invaghì di lei.
La situazione nei periodi successivi non fu facile. Anche se corrisposto dalla ragazza, infatti, faceva il possibile per essere presente, ma i sentimenti all’epoca non avevano guardato in faccia nessuno, neanche lui e la moglie che già aveva nella contea vicino a quella della ragazza.
Grazie all’interessamento del sovrano dell’epoca, con cui faceva affari e che avrebbe poi abdicato in suo favore, s’incontrò con un personaggio introdotto nel Palazzo che gli procurò un angolo di pace in città dove consumare la loro passione.
Dopo un po’ di tempo passato con incontri quasi clandestini, il tutto non bastò più e, con delle decisioni ben ponderate decise di abbandonare la moglie per vivere in tranquillità nelle stanze del castello che, nel frattempo, fra un affare e l’altro aveva ottenuto dal Re.
Passarono diversi anni in cui il potere del Re e, di conseguenza il suo crescevano senza sosta.
Decisero allora, dopo la caduta del sovrano che in preda al caos aveva abdicato in suo favore, di sposarsi. Furono benedetti da Baal,come amava ripetere lui, che gli portò ben quattro figli, mentre lei, schiva e umile, non appariva mai in pubblico, ma dava ogni giorno forza a suo marito durante le dure battaglie contro i barbari dell’epoca, pronti ad approfittare del momento di instabilità dopo la fuga del sovrano precedente. Per il resto, dedicava tutta se stessa alla cura dei figli e a varie attività fra le mura del castello, uscendo raramente in pubblico e, un po’ rimpiangendo invero, i tempi felici della clandestinità.

E così che si è giunti a questo punto, con questa situazione alle spalle, ma con un futuro florido davanti, felice, nonostante tutto, a fianco del Re, sempre molto impegnato, ma anche presente nei suoi confronti.
Come lo era lei, premurosa e presente, anche in quel momento in cui gli portava la mantellina da rappresentanza e lo salutava mentre partiva per i suoi impegni quotidiani. Sì, dandogli pure un bacio. Sempre presente e premurosa.

Il Re, al solito, fece uno sforzo per salire a cavallo.
Non per la sua prestanza fisica, certo non era certo un gigante, anzi, era sotto la media in altezza, tanto da essere sicuramente più basso del più basso dei suoi servitori  senza il brillante stratagemma usato da tempo, in forma di due rialzi di cuoio duro negli stivali.
La moglie, che lo vedeva nell’intimità delle stanze coniugali, amava dirgli che “il vino più buono sta nella botte più piccola”.
E lui, con questa sicurezza dentro, e qualche sotterfugio, aveva passato gli ultimi anni, in maniera brillante ma, quando si trattava di salire a cavallo…
Era sorto molto tempo prima il problema, quando il suo primo maestro di equitazione, già dalla prima lezione gli disse: “A cavallo si sale sempre dalla parte della sua spalla sinistra, prendete le redini e passatele sul collo dell’animale e tenetele ferme con la mano sinistra (ancora) sul collo per tenere fermo il cavallo mentre salite”.
E ancora poi:

 “ Si smonta dalla parte sinistra, ricordandovi di tenere le redini sulla parte sinistra...”

A lui, mai era andata a genio questa cosa. Si ostinava a voler montare dalla parte destra, aveva addirittura voluto un altro istruttore per sentirsi dire di nuovo le stesse cose.
Tempo dopo aveva pensato pure di promulgare un editto a riguardo, sempre sconsigliato dai suoi collaboratori più stretti.
Con il suo sgabello, dalla parte della spalla sinistra del cavallo, salì in groppa e si avviò con scorta e servitore particolare verso il palazzo della Tautologia.