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martedì 17 agosto 2010

Sassi

Post n°18 pubblicato il 14 Agosto 2010 da paulget
Foto di paulget
“Le pietre respirano”.

Mi tornano alla mente queste parole mentre cammino lungo la strada delimitata da muri a secco.
Se uno mi chiedesse ora, quanti anni fa ho sentito questa affermazione, mi troverebbe impreparato.
Non saprei trovare un periodo esatto nella memoria.
O forse è solo un' idea.
Idea. “l’essenza, la forma archetipica delle cose di là dai loro aspetti particolari e accidentali, conoscibile attraverso la pura attività intellettiva” scriveva Platone.
 Le idee possono essere sostanza, contenuto, fondamento, nocciolo, nucleo, filo conduttore, o semplicemente sensazioni che nascono dal di dentro, dal fondo di noi stessi, da quella parte di noi stessi che esisteva molto prima che noi potessimo dire “sono consapevole di pensare”.
L’inconscio, che ha a disposizione molti più dati della piccola e giovane coscienza, riesce forse ad avere una visione più globale e integrata delle cose?

Le pietre sembrano paragoni forse rozzi, di quel tesoro che abbiamo in fondo al nostro pozzo scuro e che accompagna la nostra coscienza nei riti quotidiani, ma che esisteva già prima di noi.
Prima di me.  Osservo una pietra e penso a quanto ha visto prima di me.

“ Ehi parlo con te! Mi senti Guido?”
Il mio compagno di avventure mi agita la mano davanti al viso sorridendo e scoprendo quel suo dente spaccato che rifiuta sistematicamente di riparare.
 “Non è per i soldi Guido - mi disse un giorno- è perché la gente mi presta più attenzione ora quando parlo o sorrido". Quanto mi ha fatto pensare quella frase.

“Scusa, stavo pensando a una cosa..”
“Eh..al solito! Ascolta, si va a trovare tuo padre oppure no. Io mi son preparato lo zaino, non è che  cambi idea all’ultimo momento.”
E dicendolo si girò con il suo immancabile filo d’erba in bocca squadrandomi come volesse entrarmi negli occhi.
“Vittorio, no che non cambio idea, ma non sono sicuro che la moto ci possa portare fino a laggiù senza darci problemi”
Si fermò. Ora il suo sguardo era un mezzo sorriso, di quelli che certe persone hanno stampato in faccia quando un campanello d’allarme immaginario suona dentro di loro, quasi che le tue parole avessero toccato dei fili collegati a un sonaglio dentro la loro testa.

“Guido – disse guardandomi negli occhi – quanto tempo è che ci conosciamo tu ed io.”
“Non cominciare Vittorio il problema è che..”
“Il problema? Te lo dico io qual è il tuo cavolo di problema Guido!”
“Quando mai ti sei fatto problemi di questo tipo?" Quando mai sei stato indeciso se partire o no, che fosse andare in Inghilterra, oppure in Svizzera?”
“No mio caro tu non me la racconti giusta!”

Beh, ci conoscevamo da un bel po’ davvero. Da quando? Da sempre forse.
Il ricordo della mia prima sigaretta lo vede vicino  mentre m’insegna come far andare via l’odore sputando di continuo la saliva con una gomma in bocca. Mentre faccio scorrere il pensiero al mio primo esame importante, quello delle scuole elementari, giro gli occhi e lo vedo lì, due banchi più in là.
E quanti gomiti abbiamo consumato sui banconi di bar e osterie, più o meno degne di questo nome.
Forse, come l’inconscio, anche lui esisteva prima che venissi al mondo io, come le pietre di quella strada di campagna che innumerevoli volte abbiamo percorso, prima da bimbi con le biciclette, poi da adolescenti con il mondo ancora da scartare, ora da uomini a parlar di puttanate e ricordare il passato a volte, che non era mai, dico mai, come lo avremmo voluto.
Perché quei viaggi, quelle scorribande, quelle che a noi sembravano avventure di vita vissuta ci avevano lasciato dentro sempre una malinconia o un rimpianto, un “se” oppure un “ma” e poco serviva dire, come usava pontificare lui a volte, quasi fosse un concetto Aristotelico:  "Con i “se” o i “ma” non si gioca a calcio e neanche si vive caro mio."

A quanto corrispondevano tutti quegli anni, rapportati al respiro di quelle pietre che sempre ho trovato lì al mio ritorno.
Questo è quello che avevo pensato in quel momento e non se la moto ci potesse lasciare o no in strada.
Ho sentito la pochezza di questa mia vita, la velocità con la quale corre via, l'infinitesima parte in rapporto a quei sassi intorno a me.
E mi son chiesto se era ancora tempo di far finta di niente e tenere separati ancora la mia piccola e fallace coscienza dalla pietra, dura, vecchia e saggia che è il mio inconscio.
Posso sentire respirare le rocce, mi chiedevo.  Sbagliavo la domanda.
Posso sentir respirare il mio inconscio, era la domanda giusta.
E, se il passato non si può cambiare, potrei cambiare il futuro?
Altro quesito errato.
Posso cambiare il mio passato, era quello giusto.
E in un attimo in quello che per me è stato un secondo, ma chissà per Vittorio quanto, ho capito questo mentre mi guardava con quel piglio indagatore.
Devo vivere il presente come vorrei fosse il mio passato nel futuro. 
E ora dovrei a spiegare a Vittorio cosa?  Questo?
Un “qualcuno” un “qualcosa” da dentro mi disse: è sempre stato con te, se lo sarà ancora non dipende da te ma dalla sua coscienza. Non puoi fingere di non esser cambiato.

Allora, staccai i miei occhi dai suoi e voltai lo sguardo verso il mare. Appoggiai con una pacca la mano su una pietra calda per il sole, che stava lì,  in attesa del gatto di turno che nella fresca serata sarebbe andato a godersi quel giaciglio così tiepido.
E, con calma, gli dissi:

“Lo sai che le pietre respirano?”

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