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giovedì 2 settembre 2010

Uno, il Tutto. (prima parte)

Uno, il Tutto. (prima parte)

Post n°29 pubblicato il 25 Agosto 2010 da paulget
Come abbiamo visto, il fondo dell’oceano sembra proprio un vero e proprio “altro mondo” sotto il mare,
con scarpate, montagne, vallate, catene montuose intere e pianure sconfinate.
Dopo la piattaforma continentale troviamo la scarpata o pendio. La piana abissale è quella parte della provincia oceanica che si origina ai piedi della scarpata continentale, quindi, termina con le depressioni del fondale da dove partono le fosse abissali che possono raggiungere profondità di migliaia di metri  ma  questo sarà il tema che affronteremo nella giornata di domani.
Per oggi, se siete d’accordo, ci salutiamo qui.
Vi auguro una buona serata.”



“Accidenti!”
L’uomo si alzò dalla sedia dimenticando, come il solito, di alzare la tavoletta reclinabile inserita nel bracciolo destro e una pioggia di fogli, penne e graffette andarono a coprire il pavimento di linoleum ai suoi piedi e sopra i piedi della vicina di posto.
“Scusami” -disse timidamente mentre piegato su un ginocchio raccoglieva il materiale- è già la seconda volta oggi.
La donna, lo guardò per un attimo,  poi scoppiò in una risata che sollevò un sipario di labbra rosse cangianti su un sorriso radioso, quasi discordante dal volto cereo che lo circondava.
“Capita anche a me non ti preoccupare” gli disse, chinandosi anche lei a raccogliere dei fogli planati sul pavimento fino alla fila davanti a loro.
L’uomo si alzò in piedi spolverandosi i pantaloni al ginocchio. “Sai – disse incamminandosi lentamente verso la hall del vecchio albergo- come ti dicevo a pranzo, rimango incantato davanti a quelle proiezioni nell’oscurità e dalle descrizioni dei relatori, tanto da dimenticare dove io sia..
“Succede anche a me” rispose la ragazza meditabonda “immagina per un momento di poter asciugare il mare. Che mondo scopriremmo lì sotto! Tutte quelle gole, strapiombi, montagne vere e proprie.  Ehi! Mi stai ascoltando?” disse al suo collega di studi.
“Sì, sì, scusami -rispose il giovane premendo il tasto dell’ascensore- il fatto è che sono stanchissimo e mi bruciano gli occhi, sarà per il viaggio, ma mi stavo perdendo di nuovo ascoltando quello che mi stavi descrivendo.”
“Non ti fermi un po’ con noi al bar stasera?” disse lei mentre il segnale di ascensore al piano suonava.
“No, vado nella mia stanza- rispose il giovane, strofinandosi gli occhi ed entrando nell’angusta cabina- sono distrutto e devo fare anche un paio di telefonate prima di dormire.”
“ Comunque domani sera non mancherò! Promesso.” E la salutò con una smorfia che doveva essere un sorriso e con un cenno della mano che avrebbe dovuto essere un saluto. Lei lo guardò -
sempre stato un tipo strano- Va bene! – gli rispose- allora riposati che ne hai bisogno vedo. A domani.


La stanza era una solita stanza di un solito hotel che, dopo un illustre carriera, era stato acquistato da una società ed adibito a congressi, vedendo perciò un ultimo restauro decente probabilmente prima che lui venisse al mondo..o poco dopo.
Come le navi da crociera  nella grande guerra che, dopo gli sfarzi delle rotte  atlantiche, venivano  usate come navi ospedale, per poi in seguito, cessate le ostilità, essere demolite.
Un hotel, con la scritta “Gran” davanti,  persa nel corso di quegli anni di gruppi più o meno numerosi, di società più o meno oneste, e con ospiti più o meno facoltosi.
Gettò la cartellina con i fogli di appunti, sul letto, sedette sulla sponda dello stesso e si distese – solo due minuti in modo da raddrizzare la schiena e riordinare le idee- chiuse gli occhi e immagini di fondali, sezioni di catene montuose oceaniche si accavallarono fino a mescolarsi con immagini meno  nitide, fogli per terra, un viso di donna, labbra di cocciniglia. Poi tutto il mondo intorno a lui scomparve e quel gran custode della mente e del corpo che è il sonno prese il sopravvento.

PROLOGO



“Difficile spiegare il sole a chi non l’ha mai visto”
                                                                     A.P.







Si trovava immerso sopra il fondale corallifero, non troppo profondo, in alto, si poteva vedere bene lo splendere del sole che penetrava caldo e il luccichio argenteo della superficie.
Si lasciò andare fermo sul fondale e trattenne per un po’ il respiro di modo che il rumore dell’erogatore non impedisse ai suoni del mare di arrivare ai suoi sensi, i ticchettii incessanti e quei fruscii simili a bisbigli.
La leggera corrente del reef lo cullava facendogli dimenticare tempo e spazio, magia posatasi su di lui con la leggerezza del polline.
Si girò all’improvviso, appena in tempo per vedere la fine imminente del banco di corallo, varco nell’oscurità del precipizio, regno incontrastato di pesci e misteri, nonché di correnti con il loro repentino mutare foriero di sventure, a volte, infauste.
Osservò l’infinito apparente, fino a sentire di nuovo, con consapevolezza ritrovata, il gorgogliare rumoroso delle bolle, segnale di riacquisita concentrazione.
Guardò la fune di discesa, vi si aggrappò e si immerse nel vuoto.

La cima, agganciata al pennone di poppa della nave, si perde nel blu, sembrando sempre più sottile.
Scendendo si arriva al relitto, adagiato da una cinquantina d’anni sulla ripida scarpata.
Blocchi ricchi di coralli molli scivolano intorno mentre, impreviste, tre torri di corallo si stagliano di fronte. E, all’improvviso, eccola lì, apparentemente priva di colore, nell’azzurro mistificatore del mare.
È il momento di accendere la lampada.
Come una dura crosta di pane squarciata a rivelare il candido e profumato interno, il raggio freddo dei led rivelò incrostazioni multicolore, spirografi marrone, gialli, banchi di pesce colorati apparvero all’improvviso, come se il tocco di quel gommoso pulsante avesse messo in moto una giostra ricca di colori e di forme.



Arrivò all’improvviso.
Impetuosa.
All’improvviso si sentì parte di quel carosello e non più spettatore e le immagini mutarono.
Una corrente forte e fredda lo gettò contro la poppa, lasciò cadere la torcia e si aggrappò con due mani e tutta l’anima ad una delle ringhiere incrostate del relitto, troppo abituata oramai a quel mondo incastonato e lieve di cui faceva parte ormai da tempo, per reggere la disperata presa.
Il lavoro, cominciato parecchi lustri prima dalla salsedine, ora si completò.
Scivolò sul ponte della nave vedendo la prua  avvicinarsi sempre di più, fino all’ultimo, fatale, urto.  La bombola che indossava rimase impigliata mentre lui sentiva un’ultima e prepotente forza che lo gettò in balìa di quel fiume  impetuoso verso l’oscurità

 
 
 

Uno, il Tutto. (seconda parte)

Post n°28 pubblicato il 25 Agosto 2010 da paulget
Il sovrano era inquieto.
Nel giardino del palazzo d’estate, camminava con aria assorta, fra gli alberi da frutto e i rovi macchiati di giovani more, senza coglierne la presenza.
Fosse stato nel mezzo di una strada trafficata, fra carri, cavalli e persone, non sarebbe stata diversa la nostra visione.
Cercava in qualche modo di decifrare quel qualcosa, simile a una sensazione, quasi un’impressione nata in lui al risveglio e decisa per il momento a rendere travagliata quella lunga giornata d’impegni che lo aspettava.
La riunione con la confraternita della Démologia era andata secondo i piani, eppure il fastidio, continuava nello stesso modo in cui era cominciato, parecchie ore prima, all’alba di una notte pressoché insonne.
Certo, tutto motivato.
Appena sceso dal letto però... Ora, dopo la risoluzione dell’ennesimo problema  non aveva motivo di esistere.
Tutto era andato come doveva andare e, una volta di più, l’istituzione di quel dicastero si era rivelata azzeccata. Il creare la confraternita della Démologia era stata una delle idee più brillanti avute in passato appena conquistato il potere.
Creare un’istituzione che si occupasse della composizione e costituzione sociale era una delle “ispirazioni” di cui andava maggiormente fiero.
Doveva esserci un controllo, una guida che sovrintendesse e mantenesse in equilibrio gli umori del regno.
Certo, un tempo, non avrebbe mai pensato di dover considerare che un regno fosse composto anche di persone. Ma, come l’arte del compromesso appresa nel suo passato di mercante gli insegnava, bisognava adeguarsi a volte, pur non comprendendo a fondo le cose o non accettandole proprio, di modo che i frutti arrivassero più copiosi e andassero a coprire anche quel piccolo costo che si era dovuto pagare mutando idea controvoglia.
Imperativo era che i sudditi versassero nelle casse del Palazzo, quello che per dovere naturale dovevano corrispondere.
E, logicamente, dovevano essere convinti che fosse un dovere naturale. Farlo sentire un obbligo morale ci aveva pensato l’ingegnoso meccanismo dei suoi predecessori, ma, purtroppo non avendo fatto il passo successivo, era stato perso il controllo della società, il controllo della composizione equilibrata della stessa e, chi più chi meno, era finito in disgrazia, a volte in tragedia.
Ma con la Confraternita della Démologia e la sua rete capillare di circoli in tutto il territorio, l’ordine sarebbe stato mantenuto senza intoppo per molto tempo.
Oh, sì, bisognava lavorarci sempre, con costanza e impegno, qualcosa o qualcuno, chi con uno scritto più audace, chi con una rappresentazione artistica,  rischiava di rompere quel perfetto equilibrio ma, come successo quella mattina, le cose si risolvevano nel migliore dei modi.
I giullari erano importanti, purché fossero giullari di corte. Finché la gente si divertiva e apprezzava, lui lasciava fare. Quando, però, qualcuno diventava pericoloso per il sistema e invece di far solo ridere instradasse le persone su un territorio sbagliato, magari le spingesse a sorridere e non più a ridere, allora bisognava intervenire. In modo assoluto e categorico, come lui sapeva fare benissimo. Un lavoraccio, certo ma, circondato da fedeli e capaci servitori com’era non gli risultava difficile e poi, con il lavoro duro e costante i frutti arrivano sempre, come ripeteva spesso a tutti.
Lui sapeva di cosa la gente aveva bisogno e glielo aveva sempre dato. Era il Re più lungimirante della storia recente e a volte, avrebbe voluto dire di tutta la storia.


“Sire!”
Lo ricondusse alla realtà il suo fedele servitore Alladine.
“Sire, eravamo preoccupati, non la vedevamo ritornare”.
Portava in mano una risma di fogli di canapa con le notizie arrivate come ogni mattina al castello, recapitate con devota solerzia dall'attività dei messi, i quali, ognuno nella zona assegnata, raccoglievano notizie, informazioni, piccoli stampati che i popolani amavano leggere e, proprio per questo, finanziati dalla confraternita dedicata a quell’attività.
Confraternita, appunto, presso la quale doveva recarsi in questo momento.

La confraternita della Tautologia, era molto più difficile da gestire, perché le scelte dovevano essere fatte celermente, in modo da dare la possibilità ai messi pomeridiani di portare nelle zone a loro dedicate gli scritti deliberati, in tempo per la scrittura dei fogli del giorno seguente.
Un meccanismo ben curato, da mantenere in costante attività.
Il mattino era dedicato ai fogli, nel pomeriggio osservatori specializzati, si occupavano dei libri che selezionavano con cura, analizzavano e catalogavano in sezioni apposite, una per ogni tipo di opera,
in modo da creare una perfetta statistica da passare poi ai fratelli della Démologia i quali, decidevano la mattina seguente, se fosse o no il caso di distribuire un nuovo libro o raccolta e di che tipo eventualmente dovesse essere.  Tutto questo grazie alle percentuali di classificazione fornite dai fratelli della Tautologia, considerati molto importanti proprio per questo motivo.
Il servizio, cui era preposta la Confraternita della Démologia era quello di mantenere l’equilibrio nelle opinioni e , come si può ben comprendere, questo scopo veniva ben raggiunto o , per usare un termine più appropriato, mantenuto, anche con la pubblicazione di libri. Non era importante ai fini dello scopo se fossero a favore o contro il regnante, dedicati a una o più categorie sociali, infatti, il meccanismo era basato sulla condizione di equilibrio che si doveva mantenere, per garantire una vita tranquilla nelle valli del Regno. E garantire una vita tranquilla all’imperatore insieme con tutto quello che intorno ruotava, fossero confraternite, scrivani o semplici messi che ricevevano di che vivere dalle casse del Palazzo.
Che poi le casse fossero riempite anche con il loro contributo era una questione troppo complessa su cui farli ragionare e, appunto uno dei compiti che stava alla base dell’istituto Demologico,  era quello  di non lasciar uscire i ragionamenti da un certo livello di guardia, senza bisogno di violenza o repressioni come in un passato orrendo e incivile, ma con l’equilibrio fra critiche ed elogi, fra pro e contro, fra bianco e nero, fra uno e l’altro..
Aveva creato una macchina perfetta, di prosperità e di libertà.
Sì, in effetti, dire che lui fosse il miglior Re di tutta la storia non era poi sbagliato.
Schiere di scrittori al soldo della Congregazione della Tautologia, si affannavano ogni giorno a creare qualche nuova storia, un qualche nuovo libro, sulle indicazioni fornite dal dicastero della Dèmologia e, altrettanti, erano al soldo del Palazzo fino agli angoli più remoti del regno, altri ancora, venivano reclutati  per la causa.
Uno di questi era proprio Alladine, uomo tranquillo, facente parte in passato di una schiera culturale indipendente, avvicinato ai tempi da un emissario dell’imperatore sventolante una delle bandiere che preferiva di più, quella con i colori dei benefici, del  potere, della fama e della ricchezza.
Dopo essere stato tentato a lungo, il giorno dopo cedette alle avance del Palazzo e con lavoro oculato e instancabile era arrivato a essere vero e proprio servo prediletto e factotum.
Uomo non molto prestante fisicamente, sempre affascinato dal potere e dal benessere materiale, aveva usato l’arma che gli rimaneva, la sua intelligenza.
Alladine sapeva sempre che parole usare per calmare o, a volte, spronare il suo padrone secondo le situazioni che si presentavano. E non aveva mai fallito.
La sua abilità poi, a prendere pubblicamente le difese del capo quando questi glielo ordinava, la sua maestria nel non dar possibilità oggettive ad eventuali oppositori atte a  contestare una sua opinione tacciandolo magari, di servilismo, gli avevano permesso di essere al fianco dell’imperatore con tutte le comodità di vita derivanti per se e la sua famiglia.
Il suo tono sempre calmo e pacato, che  ricordava quello dei sommi sacerdoti del tempio di Baal, si inseriva bene in un volto dalle gote cascanti e due occhi ciondolanti, il tutto dominato da una calvizie oramai dimenticata tanto era il tempo passato da quando era apparsa.
“Mi sono fermato un po’ a meditare sulla riunione di questa mattina Alladine -disse il Re rivolgendosi al servo- e non mi sono reso conto dello scorrere del tempo, ma ecco che, puntuale, arrivi tu, mio fedele amico, preciso come sempre, per  riportarmi  ai miei doveri quotidiani”.
S’incamminarono insieme lungo il sentiero che conduceva alla veranda estiva, dove ad aspettarli c’erano due cavalli con la scorta, e, mentre il Re sfogliava le canape, Alladine lo informava sulle discussioni da affrontare quel giorno al palazzo della Tautologia.
“Serpeggia una sorta di malumore, ma dovuto a niente di particolare”, disse il servitore.
A quelle parole, il Re si rabbuiò di nuovo, aggrottando la fronte, mentre, bloccandosi e alzando lo sguardo dai fogli che teneva in mano, serrò con una leggera stretta al braccio, la camminata e le parole di Alladine guardandolo.
“Che tipo di malumore Alladine, spiegati meglio.”  Il servo lo guardo stupito.
“Come vi dicevo, Signore, niente di particolare, ma un aria un po’ tesa, visi dall’aspetto preoccupato. Anche gli stessi fratelli interrogati al riguardo non sapevano dar motivo di ciò, descrivendolo come una specie di sensazione, avuta già la mattina appena destati dai servitori.
Il Re, annuendo lentamente, riprese il cammino ripensando alla sensazione che aveva avuto anche lui durante la mattinata e che tanto lo aveva tormentato fra gli alberi del giardino.
La voce della moglie lo riportò al reale. “Marito mio. Stavamo in pena per voi”
La donna, gran dama che gli aveva dato molte soddisfazioni e figli, affrettò il passo verso di lui abbassando leggermente la testa per baciarlo sulla fronte.


Ora, per chiarezza della nostra storia, bisogna dare qualche breve spiegazione.
L’imperatore era di parecchi anni più vecchio della moglie, la stessa, non era neanche il suo primo matrimonio.
Infatti, in un periodo lontano, ai tempi del regno del suo predecessore e amico, mentre, giovane mercante,vagava per le contee, conobbe in una serata di relax fra amici una cameriera che gli sembrò subito un angelo. Una bellezza fresca, giovane e angelica, per niente volgare, insomma, per farla breve s’invaghì di lei.
La situazione nei periodi successivi non fu facile. Anche se corrisposto dalla ragazza, infatti, faceva il possibile per essere presente, ma i sentimenti all’epoca non avevano guardato in faccia nessuno, neanche lui e la moglie che già aveva nella contea vicino a quella della ragazza.
Grazie all’interessamento del sovrano dell’epoca, con cui faceva affari e che avrebbe poi abdicato in suo favore, s’incontrò con un personaggio introdotto nel Palazzo che gli procurò un angolo di pace in città dove consumare la loro passione.
Dopo un po’ di tempo passato con incontri quasi clandestini, il tutto non bastò più e, con delle decisioni ben ponderate decise di abbandonare la moglie per vivere in tranquillità nelle stanze del castello che, nel frattempo, fra un affare e l’altro aveva ottenuto dal Re.
Passarono diversi anni in cui il potere del Re e, di conseguenza il suo crescevano senza sosta.
Decisero allora, dopo la caduta del sovrano che in preda al caos aveva abdicato in suo favore, di sposarsi. Furono benedetti da Baal,come amava ripetere lui, che gli portò ben quattro figli, mentre lei, schiva e umile, non appariva mai in pubblico, ma dava ogni giorno forza a suo marito durante le dure battaglie contro i barbari dell’epoca, pronti ad approfittare del momento di instabilità dopo la fuga del sovrano precedente. Per il resto, dedicava tutta se stessa alla cura dei figli e a varie attività fra le mura del castello, uscendo raramente in pubblico e, un po’ rimpiangendo invero, i tempi felici della clandestinità.

E così che si è giunti a questo punto, con questa situazione alle spalle, ma con un futuro florido davanti, felice, nonostante tutto, a fianco del Re, sempre molto impegnato, ma anche presente nei suoi confronti.
Come lo era lei, premurosa e presente, anche in quel momento in cui gli portava la mantellina da rappresentanza e lo salutava mentre partiva per i suoi impegni quotidiani. Sì, dandogli pure un bacio. Sempre presente e premurosa.

Il Re, al solito, fece uno sforzo per salire a cavallo.
Non per la sua prestanza fisica, certo non era certo un gigante, anzi, era sotto la media in altezza, tanto da essere sicuramente più basso del più basso dei suoi servitori  senza il brillante stratagemma usato da tempo, in forma di due rialzi di cuoio duro negli stivali.
La moglie, che lo vedeva nell’intimità delle stanze coniugali, amava dirgli che “il vino più buono sta nella botte più piccola”.
E lui, con questa sicurezza dentro, e qualche sotterfugio, aveva passato gli ultimi anni, in maniera brillante ma, quando si trattava di salire a cavallo…
Era sorto molto tempo prima il problema, quando il suo primo maestro di equitazione, già dalla prima lezione gli disse: “A cavallo si sale sempre dalla parte della sua spalla sinistra, prendete le redini e passatele sul collo dell’animale e tenetele ferme con la mano sinistra (ancora) sul collo per tenere fermo il cavallo mentre salite”.
E ancora poi:

 “ Si smonta dalla parte sinistra, ricordandovi di tenere le redini sulla parte sinistra...”

A lui, mai era andata a genio questa cosa. Si ostinava a voler montare dalla parte destra, aveva addirittura voluto un altro istruttore per sentirsi dire di nuovo le stesse cose.
Tempo dopo aveva pensato pure di promulgare un editto a riguardo, sempre sconsigliato dai suoi collaboratori più stretti.
Con il suo sgabello, dalla parte della spalla sinistra del cavallo, salì in groppa e si avviò con scorta e servitore particolare verso il palazzo della Tautologia.

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