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giovedì 2 settembre 2010

Uno, il Tutto. (terza parte)

Post n°27 pubblicato il 25 Agosto 2010 da paulget
I cavalieri erranti son trascinati al nord..
                                                   (P.Gori)







Mentre la corrente lo trascinava a fondo,  poteva vedere  la scarpata delinearsi in tutta la sua maestosità facendo diventare il relitto sempre più piccolo, poi anche quella vista svanì e fu circondato dal fosco delle tenebre marine.
In un attimo capì.
Fra poco sarebbe finito tutto. Un lampo, squarciò la mente, facendo riaffiorare gli scritti sulla morte per annegamento che aveva letto e alle sensazioni che gli davano, quando cercava di concepire con la fantasia il momento in cui il riflesso incondizionato della massa di cellule affamate del corpo portava ad aprire la bocca e a inspirare l’acqua alla ricerca spasmodica di ossigeno che non avrebbe mai trovato.
Ora lo stava per toccare con mano.
Il bisogno di aria si fece sempre più impellente, lottava per non cedere all’impulso animale che lo sovrastava e per un attimo pensò se non fosse il caso di farlo prima possibile per porre a termine una sofferenza inutile.
Stava scendendo sempre più in fondo in una tenebra fredda che ormai non sentiva più, si lasciò andare, rilasso i muscoli, e un attimo dopo la sua bocca si aprì. Un bruciore intenso pervase il suo petto, la testa sembrava compressa in una morsa sempre più stretta, poi fu il buio.

Stava salendo, salendo, sempre più in alto stranamente, una luce lontana brillò sopra di lui, venne preso in un vortice luminoso che lo trascinava sempre più su.
Ebbe la sensazione che il viaggio, più che dentro lo spazio, avvenisse attraverso il tempo e che si rivolgesse all’indietro mentre continuava a salire e a ridiscendere, salire e ridiscendere e in quel momento capì che il percorso che stava facendo era come un respiro, tra pieni e vuoti, tra luce e buio, tra alto e basso, tra paura e speranza.. la luce andava e veniva, andava e veniva..poi, di colpo, venne risucchiato verso l’alto.

L’essere lo stava guardando con due occhi curiosi e lievemente ironici che si posavano su di lui come se guardassero un povero gattino spaventato.
Sembravano un uomo come lui, fatto come lui.
Tuttavia, l’Essere, non sembrava pensasse la stessa cosa di lui.
Infatti, lo guardava con un’aria fra il curioso e lo spaventato.
Riuscì a mettere a fuoco la sua coscienza, la mente si rimise in funzione, i sensi lentamente ripresero forma e sostanza e lo sentì bisbigliare qualcosa, un qualcosa di sempre più forte, finche il bisbiglio diventò parola.
“ Tutto bene?”
 Vide l’uomo guardare verso i suoi piedi.
Spostò lo sguardo anche lui..
In un attimo fu desto e capì. Stava studiando con attenzione la sua muta, la sua maschera e le sue pinne.
Provò a muovere un piede, che fece guizzare con un balzo e retrocedere di un po’ di metri  l’uomo. Mosse un braccio, senza problemi, quindi, puntando le mani a terra..a terra?!..
Era terra, più precisamente sabbia, sabbia normale, una semplice sabbia color nocciola.
Che cosa stava succedendo, o meglio, cosa era successo. E cosa stava accadendo ora.
Con le mani che sprofondavano morbidamente nella sabbia tiepida, si mise seduto.
Si tolse la maschera e si trovo circondato da....mare.. ma cosa diavolo..il vento, un alito di vento si posò sul suo viso, e tutt’intorno alberi cielo, orizzonte, uccelli, rumori, odori.
Per un attimo si vide, seduto con la muta, e con le due pinne che salivano dai piedi e una sensazione ironica lo pervase.
L’uomo che non smetteva di scrutare da dietro il muro di sconcerto e timore che, tuttora esistente, lentamente stava svanendo, si riavvicinò.
I due si guardarono dopo lo smarrimento iniziale. Poi, l’uomo in piedi disse: “Chi sei?”-con il tono di un “Cosa sei?”.
Si alzò lentamente, sfilò goffamente le pinne rischiando di cadere e, mentre sfilava la parte superiore della tuta, sentì un calore delizioso sulla pelle, alzò gli occhi al cielo e vide che era chiaro ma di un colore strano, lattiginoso, il sole non splendeva come il solito, a dire il vero non si vedeva neppure, ma una luce calda sembrava pervadere il cielo in modo uniforme.
Eppure non si vedevano nubi, ma neanche il cielo sereno, solo un colore opalescente e omogeneo fino all’orizzonte. Mentre sfilava anche il resto della muta, gli riaffiorarono alla mente i ricordi, confusi, la corrente, il relitto, la sensazione di paura. Poi quel turbine che invece di portarlo ancora più in basso negli abissi lo aveva scaraventato di nuovo sulla spiaggia. Già, ma su quale spiaggia.
in superficie, sei stato spinto da una corrente fino sul fondo come mai sei in superficie di nuovo?
dal fondo del mare si sale in superficie…non dalla superficie…
I pensieri si dilatavano come una catena, un anello legato all’altro, una cartella dopo l’altra , in una sorta di intersezioni d’insieme raggiunsero un punto, una barriera, una gabbia da dove non potevano fuggire e tornavano a contrarsi, per tornare all’origine, ed espandersi di nuovo fino ad incontrare ancora quel muro invalicabile. Il suo fisico rispose immediatamente, non gli riusciva di portare a termine il respiro, un senso di intorpidimento gli agguantò le braccia, il senso di confusione in testa  montava sempre più portandolo sull’orlo dello svenimento per poi afferrarlo sul precipizio e  ricominciare daccapo. Poi, il cervello trasmise i suoi segnali ai blocchi di sicurezza che si attivarono immediatamente. E fu nuovamente il buio.

Arrivato in cima al ripido pendio di sabbia, l’uomo con in spalla un corpo inanimato e nell’altra degli strambi vestiti  si trovò davanti ad un carro colmo di attrezzi vari, appoggiò a terra la strana zavorra che lo appesantiva facendo sprofondare i suoi stivali nella sabbia, gettò a terra la muta, si guardò in giro. Un silenzio fatto di uccelli, grilli e vento leggero, faceva da corona allo sterminato mare di fuscelli alti fino a un paio metri che, come ogni estate inoltrata, stava per fiorire, lo tranquillizzò.
Prese una pala e si mise a scavare.

Appena la piccola fossa nel terreno, reso morbido grazie all’acqua arrivata dalla terra la notte seguente, fu abbastanza fonda, si chinò, prese i vestiti dell’uomo e, guardandoli ancora per un attimo li getto nella buca e ricoprì tutto in velocità. Controllò che il ragazzo portato dal mare respirasse ancora, lo mise sul carro fra bastoni, falci, e sacchi vuoti, lo coprì con un lenzuolo di canapa che usava, a seconda dei momenti, come letto disteso sull’erba o tovaglia per le pause del pranzo, salì sul carro, e, afferrate le redini del giovane cavallo si avviò lungo la strada di acciottolato bianco che costeggiava le piantagioni di canapa.


A volte quando ci si trova in difficoltà, al massimo della delusione, quando il pozzo in cui sei caduto sembra non proseguire più verso il fondo, e finalmente senti la terra compatta sotto i piedi, allora, proprio in quel preciso istante, come per una sorta di alchimia la paura, la delusione, si trasforma in fiducia. E ci si affida a tutto e a tutti.
Quanto questo sia utile o dannoso non è dato mai di saperlo in anticipo.
Ed è seguendo questa sensazione di fiducia, questa percezione, che lui, riaperti gli occhi, rimase in silenzio sotto quella specie di lenzuolo che lo copriva, ascoltando l’uomo fischiare sobbalzando fra tintinnii di ferri, pale e altri attrezzi sulla strada dell’ignoto.

Uno, il Tutto. (quarta parte)


Stava ritto in piedi alla finestra dal vecchio telaio, quadrati di mare turchese increspato di vento, repentine raffiche arrivavano imponenti a incontrare il mare verde di foglie chiazzate di giallo, in una strana danza del caos, sbattute, contese da refoli distinti ma figli della stessa forza, folate di sale sul cortile e sulla fontana di acqua tremula portano odori forti di  fieno e fichi e terra umida, più forte l’odore di zenzero, della donna  lasciata  sotto le lenzuola.
Contrasti di pensieri confusi da sogni sempre più penetranti, vividi di sensazioni riaffioranti in quei momenti sempre più lunghi, davanti a quel dipinto di canapa al vento. Stava lì. Una volta di più il ricordo lontano, confuso, della spiaggia e di quell’incontro col nuovo suo mondo, quello del dopo, della mente nuova, lavagna priva del gesso del passato, foglio nuovo da scrivere. E ci scriveva da un po’. Fiorivano gli alti fusti di fine estate quando il nuovo ordine di cose fluì nella sua casta memoria e ora un nuovo mare di gialli fiori di sativa, si donava al vento del sud.
 “Esci già?”
Il fruscio di lenzuola placò i suoi pensieri, la voce della ragazza lo riportò al presente.
Si passò la mano sul volto ispido a cancellare i pensieri e i profumi del vento scomparvero scacciati dal dolce e speziato profumo.
“Resta pure a letto, ricordati di prendere i rotoli prima di uscire” le disse.
Lei si alzò sui gomiti fra scrocchi secchi del giaciglio con lo sguardo assonnato e sorpreso. “Sono già pronti? E quando li hai scritti?”
Lui si girò avviandosi verso la porta della stanza i cui stipiti a malapena contenevano le spalle enormi, prendendo la bocca ruvida fra la mano a sentire una volta in più quell’inebriante profumo. “Ho sognato i cavalli.”  E senza aggiungere altro uscì.
L’aria già tiepida della mattina si insinuava fra i suoi vestiti mentre il gatto, di ritorno dalle scorrerie notturne si strusciava sui suoi stivali prima di saltare sul davanzale e raggiungere la scodella già colma Il rumore del mare arrivò improvviso da dietro la collina di rovi chiazzati di grosse more, il suo pensiero era più pesante quella mattina, mentre si avviava per il sentiero rubato al bosco di pini che costeggiava  la ripida discesa verso l’azzurro in subbuglio.
La casa come sempre gli venne incontro all’improvviso, l’amplesso del glicine al muro opposto al mare, fuori, già indaffarato intorno al suo carro di utensili  vari, stava Murdo,  braccia vigorose spostavano, alzavano, caricavano tirando corde a bloccare il tutto, vicino a lui il figlio Caolan con la mula da tiro come sempre pronta con il carico di fusti di canapa destinati alla teleria,  Glenda, come sempre d’intorno al pollaio.
Sogni scomposti, vivi, come ogni giorno avevano lasciato il posto alla realtà. Quale filo sottile divide i due mondi..

Tutto come ogni giorno, nessuna nota stonata  in una composizione certa, affermata. Conseguente il gesto di mano, mentre lampi di sogni spazzarono la realtà fermandosi, fugace momento, sparendo, oscurati da razionalità padrona di quel pezzo di tempo. Consueto momento di mille risvegli.

Passati i cespugli di ginestra la sabbia cedeva al calare degli stivali , sempre più in fondo, sempre più secca sulla strada del vento, per divenire umida di marea un passo più avanti.
Si fermò così, con la faccia al vento a scrutare il mare, cercando il ricordo, trovando il presente.
Vecchio libro in nuove mani, dove leggere le storie, sensazioni, impressioni di oggi. Cercava, a dire bene, con poco coraggio, come un libro già letto, paura di riaprirlo per non confondere le sensazioni di allora con quelle di oggi.

Dopo i primi giorni smarriti, la fermezza di Murdo lo aveva fatto nascere a nuova vita, ordinando quel vuoto caos ormai lancinante,
 riaffiorato dai flutti del nulla pronto a scrivere il “futuro” passato.
Tempo ne era passato da quel carro ciondolante di pale, di falci, di zappe con cui era giunto alla casa sul mare.
Una nuova fioritura di canapa, ma il senso in lui, di quel periodo passato sembrava lunghissimo..lunghissimo..? Lampo improvviso falce di luce a troncare i pensieri..
Sembrava lunghissimo..con tutta la forza che trovò cercò di aggrapparsi a quel pensiero sempre più flebile sempre più insensato..Lunghissimo rispetto a cosa
Immagini, lampi. Alberi dai rami tagliati. Un vecchio fra le sue braccia ansimante alzato su un fianco. I suoi muscoli indolenziti. Letti affiancati. Uno spazio fra i letti sporco e polveroso. Semi tostati passati nello zucchero colorato di rosso dentro un disegno a mosaico.
Una rosa…
E il suo nome gridato,  di nuovo il vento del presente il profumo del mare, il rumore dei pensieri sempre più lontano come un treno passato troppo in fretta per poterci salire. Una volta di più.

Si sentì chiamare di nuovo.
Con passo spedito rifece la strada verso la sabbia più secca, passo oltre i cespugli incrociando il carro stracolmo di attrezzi con l’amico in attesa, una volta di più.

(continua)

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